http://dati.culturaitalia.it/resource/oai-culturaitalia-it-museiditalia-work_22838 an entity of type: E22_Man-Made_Object
L'opera venne donata al Museo di Castel Sant'Angelo dal cavalier Mario Menotti con l'intento di inserirla tra gli arredi con cui fu allestita la sala di Amore e Psiche. Originariamente il dipinto veniva riferito all'attività giovanile del Lotto (Papini, Longhi). Fu il Pallucchini ad aver suggerito allo Zampetti la datazione al documentato soggiorno romano (1509), ormai accettata dalla critica. A riprova di ciò sono le "suggestioni raffaellesche" individuate nella resa anatomica del corpo del santo (Lattanzi) e la struttura architettonica sullo sfondo nei pressi del ponte, indiscutibilmente avvicinabile a Castel Sant'Angelo. Le componenti iconografiche dell'opera ne hanno consentito una lettura intrisa di tematiche spirituali, ma anche allusiva alla situazione di "emarginazione" in cui il pittore - ad un certo punto - venne relegato nell'ambiente romano. Relativamente alle tematiche spirituali, si individua la solitudine dell'asceta in primo piano lontano dalla città (vita mondana) e dalla lussuria (il boscaiolo abbatte il tronco dalle sembianze femminili). Anche l'asino battuto dal padrone è emblema delle tentazioni demoniache sofferte dall'eremita in quanto simbolo di patientia e humilitas. Riguardo alla committenza, la tavola potrebbe essere stata commissionata dall'arcivescovo di Taranto Enrico Bruni (curiale e tesoriere pontificio) che ebbe legami con Recanati. A san Girolamo il suddetto arcivescovo dedicò la cappella di sua proprietà presso la chiesa romana di Sant'Onofrio al Gianicolo, da dove l'Urbe poteva essere raffigurata secondo il punto di vista offerto dal dipinto (Bellini, in "Rinascimento e passione...").